Come artigiani

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Articolo tratto dalla rubrica “Il cuore e la ragione” di Controvoci (n.1 giugno 2014)

Immagine: Il volo di Icaro (Matisse)
Icaro, l’ampiezza del desiderio infinito dell’uomo.
Gli elementi salienti che risultano dalla composizione sono, senza dubbio, le stelle e il cuore di Icaro.  Icaro non è altro che l’allegoria dell’uomo, sempre alla ricerca di un compimento, di qualcosa che soddisfi la sua brama. Il desiderio è fatto così, si apre in una scala di orizzonti sempre più ampi. Icaro, allora, diviene il grido sfuggente dell’uomo che soffre l’attesa, il presagio di un bene che manca ma di cui ha infinitamente bisogno.

 

Vivere è un lavoro da compiere giorno per giorno, come artigiani.

Si cammina e a volte si ha l’impressione di costruire, altre volte di perdere pezzi.

 

Ultimamente sono accaduti due fatti (uno privato e uno “pubblico”) che mi hanno destato dal torpore in cui solitamente sono immerso.

Il primo fatto è stata la notizia di un amico (40 anni) rimasto vittima di un arresto cardiaco: in un attimo la vita della moglie e dei tre figli è stravolta, l’ospedale che si trova in una città lontana e le speranze di guarigione ridotte al lumicino.

Non è facile rimanere in piedi di fronte a situazioni come queste, così come a tante altre di povertà, di ingiustizia, di morte. Subiamo e basta, le cose non ci dicono niente.

Vorremmo essere felici e ci ribelliamo al pensiero che la felicità non possa essere raggiunta, poi ci arrendiamo alla nostra impotenza: “Fai quel che vuoi perché, tanto, nulla vale”.

Così anche noi, come lo scrittore Jack Kerouac, ci diciamo senza dircelo: “Mi dimetto dal mio tentativo di essere felice”.

L’ideale della vita diventa “il quieto vivere”, preoccupati del sentimento momentaneo che si prova o dell’opinione degli altri. Il desiderio di felicità e di amore lo riduciamo a un’emozione .

Eppure tutto questo non basta a pacificare il cuore, a farci sentire pienamente soddisfatti.

Il disagio e la tristezza sono il segno della grandezza della nostra vita, la realtà ci provoca e di fronte ai fatti che accadono non ci accontentiamo di una risposta generica o politicamente corretta. Siamo uomini e l’apparenza non ci basta, ce lo ricorda la vita quando ci presenta il conto.

Il secondo fatto sono state le elezioni europee, oltre ai risultati elettorali che cosa è rimasto?

Risposta numero uno: niente! Abbiamo vissuto questo momento come spettatori, difendendoci con frasi del tipo “A che serve”, “Tanto non cambierà niente”, “Si sa già come andrà a finire”.

Risposta numero due: pur con tutti i nostri limiti umani, è stata un’occasione per affermare che quello che ci muove è sempre un desiderio di bene, un impeto di costruzione. E nel dialogo con gli altri uomini ci siamo accorti che la vittoria di un partito non è la vittoria della vita: infatti anche se l’Europa fosse un sistema perfetto il dramma del nostro vivere resterebbe intatto.

Eppure continuiamo a cercare la perfezione fuori di noi, non ci mettiamo mai in discussione, il poeta Eliot direbbe: “Essi cercano sempre d’evadere dal buio esterno e interiore sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”.

D’altronde va di moda l’assioma: buono quindi fesso…e nessuno vuole passare per “buono”.

Sarebbe tutto più facile se conoscessimo il significato delle parole.

Mantenere lo sguardo alto e non arrendersi è la sfida più vera delle circostanze che ci troviamo ad affrontare.

Per trovare una risposta non bastano opinioni, interpretazioni, chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Occorre che ciascuno guardi nella propria esperienza che cosa ha la consistenza di tenerlo in piedi.

Occorre un amore, ma distratti come siamo non sappiamo neanche cosa amiamo.

Bisogna avere la pazienza del tempo, non un’impazienza irritata o scandalizzata perché al nostro impegno non sempre corrisponde la risposta che ci aspettiamo.

Inizia così questa nuova rubrica: “Il cuore e la ragione”.

Questa è la sfida, la sfida del vivere.

Avremo tempo per approfondire.

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