Bellezza e sacrificio – “Il cuore e la ragione”

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Chissà quanti vivono una vita di coppia all’insegna di quel profondo e infinito sentimento che avvolge. L’amore? No, la noia.

Chissà quanti di voi vivono una vita di coppia all’insegna di quel profondo e infinito sentimento che avvolge dopo i primi momenti di entusiasmo. L’amore? No, la noia.

Oscar Wilde diceva che le persone non si dividono in buone o cattive, ma in simpatiche e noiose; la frase potrebbe anche fare sorridere, ma se iniziassimo a guardare alla nostra vita affettiva e alle nostre amicizie rideremmo un po’ meno.

“Dov’è la vita che ho perso vivendo?”. La domanda del poeta Eliot diventa nostra quando iniziamo a pensare ai nostri “errori” giovanili, alle nostre scelte dettate dall’ “entusiasmo della gioventù” e a ciò che oggi saremmo potuti essere o avremmo potuto fare. Siamo di fronte a un bivio; strada numero uno: la vita è un fallimento, strada numero due: se c’è una possibilità, dove sta?

Vi siete mai accorti che il contrario della noia è un’esperienza che scuote, fa vibrare il cuore e non lascia tranquilli? E’ l’esperienza del bello.

Vi chiedo di fare molta attenzione perché ciò che diremo non è per nulla scontato.

Chi non ha mai detto di una donna: “è bella da morire”? Spesso un frase del genere rimane a un livello molto istintivo, quella superficialità estetica del “mi piace/non mi piace”.

Ma uno che fosse realmente uomo dovrebbe ammettere che si tratta di un’esperienza che scuote così tanto che va oltre la capacità di capire, non ci si capacita di come possa far vibrare così, è una sproporzione che, anche se non si capisce, c’è. E non ti annoia mai.

Bisogna ammettere che la bellezza rimanda, anche inconsapevolmente, verso qualcosa di più grande e infinito.

In questo ci viene in aiuto Baudelaire, sentite cosa dice il poeta “maledetto”: “Che tu venga dal cielo o dagli inferi che importa o Bellezza…se il tuo occhio, il sorriso, il piede mi aprono la porta di un infinito che amo, così misterioso?”

E Pasolini rincara la dose e sempre sulla bellezza dice: “Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio”.

E così anche l’amicizia è “bella” non perché si “passano della simpatiche serate”, ma perché l’altro è un mistero e un dono: potrebbe non esistere e invece c’è e non posso trattarlo come una “cosa mia”, infatti quando lo faccio qualcosa comincia a scricchiolare ed emergono le rivendicazioni e i bilanci.

E’ la morte dello stupore, la vittoria del “so già come sei fatto e cosa aspettarmi” e del “non mi sento più amato come un volta”: l’altro diventa un già saputo, un’ovvietà. E la vita diventa un insieme di macerie che tentiamo di nascondere, spesso diventando imbarazzanti a noi stessi.

Affermare (cioè amare) una persona non vuol dire afferrarla assecondando il criterio del “come mi pare e piace” o del “sono fatto così”, ma è piuttosto trattarla secondo la sua natura e guardarla per quello che è: chiedendo permesso prima di entrare nella sua vita e ringraziando per quello che si è ricevuto.

Amare senza stringere e soffocare l’oggetto del proprio amore è l’unico modo di possedere realmente, è un possesso con un distacco dentro.

Solo così un uomo può veramente dire a una donna: “sei mia”.

Questo è l’atteggiamento più lontano dal nostro istinto, ma anche l’unica strada perché i rapporti non diventino sabbia tra le dita.

Si chiama sacrificio (dal latino sacer ficere) che vuol dire rendere sacro ed è la condizione affinché la bellezza di un volto non si consumi.

Don Giussani lo chiarisce in modo magistrale: “E’ il sacrificio, nel presente, che permette la permanenza della tenerezza”.

Che il Natale ci aiuti a guardare chi ama in questo modo, perché la vita è una ed è mia. Auguri a tutti.

(articolo tratto dal Giornale di Veglie Controvoci anno XVII n. 3 – dicembre 2014).                                                               

 Francesco Bogani

Sulla sinistra dell’immagine in alto è rappresentato  “Il volo di Icaro”, opera di Matisse.Icaro, l’ampiezza del desiderio infinito dell’uomo. Gli elementi salienti che risultano dalla composizione sono, senza dubbio, le stelle e il cuore di Icaro. Icaro non è altro che l’allegoria dell’uomo, sempre alla ricerca di un compimento, di qualcosa che soddisfi la sua brama. Il desiderio è fatto così, si pare in una scala di orizzonti sempre più ampi. Icaro, allora, diviene il grido sfuggente dell’uomo che soffre l’attsa, il presagio di un bene che manca ma di cui ha infinitamente bisogno.

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