Si dica la verità: i nostri soldati morti sono state delle povere vittime, non erano eroi!
Ho apprezzato il tuo intervento pubblicato dai social locali sul 4 novembre, a cent’anni dalla conclusione della grande guerra (leggi qui). La prima parte, familiare ma anche comune a tanti vegliesi che non ci sono più, sfocia in una serie di interrogativi e si conclude con due auspici per due problemi di grande attualità, la necessità di superare il sovranismo e il bisogno di riprendere la questione dello ius soli in nome della fratellanza dei popoli.
Apprezzo la tua iniziativa di uscire dalla retorica della grande guerra, che purtroppo viene da lontano, per dare un nuovo significato a un rito, stanco e ripetitivo, che annualmente si tiene intorno al monumento dei caduti e che, con la scomparsa degli ultimi protagonisti, è destinato a svuotarsi di qualsiasi significato.
Ti confesso, però, che mi aspettavo da te meno interrogativi. E, soprattutto, più coraggio. Ha ragione Paolo Rumiz quando scrive, per presentare il suo racconto sulla grande guerra: “Non è possibile capire se cammini eretto là dove loro sono andati strisciando come vermi. Non puoi, se porti scarpe e vestiti asciutti e puliti”.
1) Quattro novembre cent’anni dopo: una nuova narrazione storiografica
I fatti hanno una forza che si impone: il colpo di Stato del 24 maggio 1915 contro un paese e un Parlamento largamente non interventisti, i morti (680.000), i feriti (950.000) oltre agli invalidi (460.000), le vittime civili (500.000 per la prima volta così numerose), le condanne a morte e le decimazioni per circa mille cosiddetti “disertori” (che attendono ancora una piena formale riabilitazione), l’uso per la prima volta di nuove armi di distruzione indiscriminata con i gas, gli aerei, i sottomarini. Le conseguenze nel dopoguerra colpirono tutto il popolo: famiglie scomposte (vedove, orfani), l’epidemia di “spagnola”, le malattie mentali (i cosiddetti “scemi di guerra” nel linguaggio popolare), i mutilati, gli ex combattenti e via di questo passo. E poi la situazione generale che portò al fascismo, al nazismo e alla seconda guerra mondiale. Con la storiografia, che ha iniziato a fare il suo mestiere, chi vuole sapere e capire ne ha oggi la possibilità. Non può più dire di non sapere.
2) Questa nuova narrazione interpella la tua e mia coscienza cristiana
Come è stato possibile? Quali culture, quali interessi, quali nazionalismi hanno attivato il sistema della distruzione generale, della guerra santa, del “giudizio divino” contro i nemici? C’è una spiegazione (anche se non è la sola): un sistema perverso intrecciava le motivazioni patriottiche con quelle di fede. Combattere per la Patria e pregare il “proprio” Dio era un unicum. Poi la religione dava conforto alle sofferenze che venivano motivate alla luce di valori eterni. I cappellani organizzavano “conferenze patriottiche” con i soldati. Il colpo di Stato di maggio con cui si era entrati in guerra fu dimenticato. Ci furono cappellani molto zelanti nell’impegno patriottico (oltre che nell’assistenza ai feriti) e la teorizzazione della guerra santa fece il resto. Abbiamo un esempio anche a Veglie: il Cappellano militare mons. Natalizio Mele, arciprete per tanti anni, di cui il Comune di Veglie ha pubblicato il suo Diario di guerra, a cura di Mario Rizzo, nel 1997.
Il circolo perverso del “Dio italiano” e del “Dio austriaco”, da una parte all’altra delle trincee, si venne consolidando con una logica che ha in sé qualcosa di diabolico e diede esiti aberranti.
Benedetto XV è ricordato come il papa della Nota del primo agosto 1917 in cui per scongiurare il proseguimento dell’“inutile strage” proponeva a tutti gli stati in guerra sei punti equidistanti e di buon senso, per terminare la guerra e tali da fare ritornare l’Europa sostanzialmente alla situazione precedente. Dato che si stanno santificando tutti i papi perché ci si dimentica di lui? Il papa fu snobbato praticamente da tutti gli stati in guerra a partire, in modo insofferente, dal “cattolico” Cadorna. Anche molti vescovi coinvolti nella logica della guerra, “nascosero” il testo del papa.
Benedetto XV si trovò solo. Le controtendenze e le resistenze alla guerra furono modeste. Quel piccolo mondo cattolico che tentò di opporsi alla guerra, che era una parte di quel No popolare alla guerra, subì intimidazioni e processi (si legga per tutti il libro di Ercole Ongaro “NO alla guerra”, EMIL, Bologna 2015).
Anche oggi, con Papa Francesco che viene continuamente contraddetto con la pratica della guerra mondiale a pezzi, con la corsa al riarmo anche nucleare, con il commercio delle armi, con il rifiuto di cercare di ridurre e di eliminare le cause della povertà, delle migrazioni, dei terrorismi che delle guerre sono la causa principale, la stessa storia, anche se in forme diverse, sembra ripetersi.
3) Il messaggio di don Milani sulla nostra storia
La demistificazione della propaganda patriottarda di tutta la storia d’Italia ebberil primo forte protagonista in Don Lorenzo Milani con i suoi due testi “Lettera ai cappellani militari” del febbraio 1965 e “Lettera ai giudici” del successivo ottobre. Le reazioni che esse suscitarono in tribunale e in una parte della pubblica opinione dimostrano quanto, a quel tempo, fosse ancora arretrata la revisione storiografica del nostro passato.
4) E oggi?: parole di circostanza e silenzi colpevoli
Non bastano più le parole di circostanza, le solite parole di circostanza, ripetute di anno in anno il 4 novembre, da autorità civili e religiose. Anche i loro silenzi fanno rumore. Ma di queste non è qui il caso di parlare.
Per chi, giovane come te, è impegnato in politica, c’è un obbligo primario ineludibile: chiedere che si dica la verità davanti ai monumenti e nei sacrari dei caduti: i nostri soldati morti sono state delle povere vittime, non erano eroi. Una verità storica da dire con i fatti e con proposte anche modeste ma concrete e con gesti che abbiano una certa efficacia: per esempio, proponi il cambiamento del nome alla nostra Piazza “24 maggio” e alla via “Cadorna”; proposta preceduta da un percorso culturale-storico sul fatto specifico del “colpo di stato”. Perché non si riduca ad una mera lezione di storia, può essere accompagnata da un percorso sulle forme storiche ed attuali di dissenso alla guerra: l’obiezione di coscienza e il metodo sulla nonviolenza.
In una situazione politico-amministrativa locale, in cui il vuoto è riempito da una cultura di interessi inconfessabili, di sopraffazione o di menefreghismo, mi sono permesso di rivolgerti questa lettera pubblica perché il tuo intervento, ripeto da me apprezzato, non si riduca ad esercizio letterario. Questa mia non sarà esente da critiche e contestazioni, ma di questo non mi preoccupo, se potrà servire a far crescere, con un dibattito civico e sereno, la nostra coscienza di cittadini liberi e pensosi.
Veglie 6 novembre 2018
Antonio Greco
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