In questo tempo segnato da stanchezze, frustrazioni, ansie ma anche di ripresa, non so se ho la forza e la serenità di porre l’attenzione sul Consiglio comunale ultimo del 24 maggio u.s.. Ci provo.
L’approvazione del Documento Unico di Programmazione (DUP) e del Bilancio di previsione per il 2021 sono atti fondamentali per un Comune. Quasi sempre rimangono atti formali e senza anima locale, dovuti per legge, da ripetere ogni anno con la stessa ritualità e le stesse logiche: la maggioranza che guarda al futuro e chiede di essere giudicata solo a consuntivo; la minoranza che guarda alle previsioni economiche e finanziarie con scetticismo e ironia.
La verità è che non esiste bilancio di previsione se non si basa su un serio e attento bilancio consuntivo. Non esiste bilancio di previsione svincolato dalla continuità amministrativa e
da responsabilità di chi ha amministrato nell’immediato passato.
Cinque ore di promesse, di ricerca di finanziamenti pubblici pur che sia, di lamentele per la mancanza di personale, di “non disturbate il guidatore”, di contrapposizione pregiudiziale a qualsiasi proposta della minoranza e, un po’ meno, viceversa.
Ciò che conta alla fine è il sacro perimetro dei 12 voti favorevoli. Il resto è “fuori”: i cittadini, i corpi intermedi, la stessa minoranza. E così DUP e Bilancio si pongono fuori dai fatti della vita di un paese, fuori dalla storia di un Paese che esce da una dura pandemia, fuori da una ripresa economica e finanziaria già tracciata dal Governo nazionale, fuori dal Recovery plan Italia (che a me non piace molto, ma con il quale bisogna fare i conti perché è un’occasione storica, per cogliere la quale i soldi, da soli, non basteranno. Il piano indica tre punti deboli e tre priorità del nostro Paese: Donne, giovani, Sud. Attorno a queste priorità occorre destrutturare non solo comportamenti economici, ma anche modi di fare, pratiche, rapporti sociali molto radicati nella nostra società), fuori dal Masterplan che sta costruendo l’Università del Salento per un
indirizzo e un’idea di sviluppo di tutta la Terra d’Otranto, fuori dal Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) Lecce-Brindisi.
Certo un ente locale deve guardare alla concretezza dei problemi, puntare sui servizi (opere pubbliche, manutenzione, marciapiedi, smaltimento rifiuti, viabilità, illuminazione, contenzioso, ecc.) per assicurare un livello accettabile nella qualità della vita vegliese. É importante far quadrare i conti. Ma l’attenzione ai soli servizi non basta. Se fosse così, per i servizi basterebbero i funzionari, per i conti basterebbe il ragioniere.
Occorre anche “altro”.
Ciò che manca è una prospettiva, un orizzonte verso cui tendere, non un sogno, non un’utopia ma un progetto partecipato fondato su dati certi, in un quadro di riferimento in cui inserire il quotidiano con le sue contraddizioni e le sue stanchezze ma anche con le sue potenzialità. Come negli ospedali non bastano i pronto soccorso per risolvere i problemi, anche dal punto di vista sociale è necessario mettere insieme servizi e idee, quadro e cornice, e tenere conto di ciò che si muove dentro, intorno e oltre l’ente locale.
E per questo ci vuole “la politica”.
Ma Veglie (come molta parte del sud) è un paese depauperato delle sue enormi potenzialità da una classe politica che quasi mai ha lavorato nei termini di una progettualità. Per questo è diventato una piccola geografia di contraddizioni: terreni incolti, anche a causa della xilella ma non solo, case chiuse e abbandonate per decrescita antropologica, distese luccicanti di lastre fotovoltaiche, solitudine del vento e scempio di possibili parchi eolici, megaPiano Urbanistico Generale del 1987 e 22 comparti quasi tutti inutilizzati, mega pomodorificio, megasansificio, megaeolico, mega fotovoltaico…, da una parte. Giovani emergenti, rimasti o che ritornano, nella nuova agricoltura, nell’arte, nella musica, nell’artigianato, nelle nuove tecnologie e nel turismo, dall’altra.
Veglie è un territorio che ha smarrito l’elegia della civiltà contadina e si è ritrovato a subire i contraccolpi dell’epoca postindustriale: dalla masseria alla discarica, cioè dal premoderno al postmoderno, senza purtroppo aver attraversato il paradigma della modernità: così Veglie ha perso la dimensione di paese per guadagnare l’immagine di paese periferia, in cui prolifera la condizione della lamentela, del disastro e della scontentezza, cioè l’identità di “un paese inutile” reso tale da un ente locale “inutile”, principale causa di questa negativa identità.
Ad ascoltare, dopo pochi giorni, il dibattito dell’ultimo consiglio comunale sono stato preso da una triste malinconia. “Inutile” è un aggettivo molto duro per un paese. Odora di polvere e di silenzio. Documenta l’assenza di speranza. E non è questo lo scopo di questo scritto.
Scrivo non per un ennesimo tentativo irrisolto di denuncia. Scrivo per indicare un necessario antidoto: prepararsi e stimolare a un’epoca che prediliga la ricerca e registri il bisogno di costruire una idea-paese, non a tavolino, ma che coinvolga imprese, lavoratori, sindacati, associazioni, gruppi, cittadini e amministratori ai quali soli, purtroppo, si ritiene affidata la bacchetta per dirigere l’orchestra.
Non conosco tutti i componenti dell’attuale consiglio comunale. Non so che cosa avviene all’interno dello spogliatoio della maggioranza. E mi scuso se mi rivolgo a chi sta invecchiando nella amministrazione per suggerire, quasi sottovoce, alcune indicazioni.
Dal primo consiglio comunale del 12 ottobre 2020 all’ultimo consiglio comunale del 24 maggio us. ho notato un fatto che non so se definire “nuovo”. Certamente è un “cambiamento”. Ronzino Sabato, di fatto, ha guidato, non sempre al meglio, la maggioranza in quest’ultimo consiglio. Da accusatore del sindaco nel primo consiglio del 12 ottobre 2020 (cfr. la metafora del “monile” per dire di essersi sentito usato per le votazioni) a suo sostituto in quest’ultimo. Non so che cosa è accaduto e non mi interessa sapere perché Sabato è tornato, di fatto, a fare il sindaco. Non so nemmeno se è una tattica politica, che Sabato per esperienza sa ben usare. Al sindaco, “inadeguato politicamente”, per le palesi contraddizioni in cui incappa spesso e per le sue reazioni politiche emotive, è rimasto il ruolo del Pagliaro locale, anche se del consigliere regionale non ha le doti e le capacità politiche, e continuerà a far mostra della fascia in convegni e manifestazioni.
A Sabato e ai suoi della maggioranza e a tutti i vegliesi che hanno a cuore il paese, dopo otto mesi di vita amministrativa e all’inizio di questo mandato, mi permetto, senza voler fare il professore, di dare due indicazioni precedute da una precondizione:
– a chi sostiene che, a proposito di moralità pubblica, bisogna guardare al ruolo istituzionale e non alla persona che lo incarna, consiglio il riferimento costante all’art. 54: “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”;
suggerisco poi:
– la estrapolazione, la conoscenza e lo studio dei big data della Camera di Commercio riguardanti la situazione anagrafica, economica e sociale degli ultimi 20 anni della storia di Veglie. I big data servono per capire evoluzione sociale, il punto in cui siamo e per una progettazione di un idea-paese fondata e non sognata;
– la lettura di un libro scritto da esperti sul campo che aiuta a costruire un’idea-paese ancorata ai
principi costituzionali e alla ripresa post-pandemica. Indico quello a cura di D. Cersosimo e C. Donzelli, Manifesto per riabitare l’Italia, Donzelli Editore, 2020, pp. 227.
Spero che qualcuno, arrivato alla fine della lettura di questo scritto, non commenti: “E magari ca’ fischi”!
Veglie 28 maggio 2021
Antonio Greco