DEMOLITO L’EX CINEMA CAPUTO

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Cinema Caputo Veglie

Cinema Caputo Veglie

Per qualche anno ha incarnato la speranza dei vegliesi di poter avere un Cinema / Teatro. Con la demolizione dell’ex Cinema Caputo svanisce anche quest’ultima speranza.

Nel numero di NOVEMBRE 2014 del Giornale Controvoci, vengono pubblicati gli articoli: “C’era una volta il cinematografo”; “Totò Pacciu, l’ultima maschera del cinema” di D. Ingrosso e “I cinema Paradiso a Veglie” di G. Caputo. Negli articoli si ricostruisce in breve la storia dei cinema a Veglie.

C’ERA UNA VOLTA IL CINEMATOGRAFO

 di Daniele (Danilo) INGROSSO

nino caputoLa storia dei cinema a Veglie inizia negli anni ‘40. L’idea nasce da un nostro conterraneo, Nino Caputo (nella foto a destra), che all’epoca vive con la famiglia a Roma, dove lavora a Cinecittà come fotografo di scena, e dove collabora a grossi colossal tipo “Scipione l’Africano” del 1937. Ha due progetti importanti nella testa, uno comune a tanti altri emigranti, che è quello di tornare nella propria terra, l’altro quello di importare dalla capitale l’idea di sala cinematografica.  Riesce a realizzarli entrambi nel 1943. Il 12 Marzo, in pieno periodo di guerra, mentre è qui da noi che cerca di sbrigliare le matasse burocratiche per il nulla-osta della commissione per la revisione cinematografica, manda una lettera alla moglie, la quale è rimasta a Roma con i figli, per  annunciarle che finalmente ha la licenza per aprire l’attività. Scrive così: “Amatissima moglie, finalmente oggi giorno 12 c.m. è venuta la commissione, è andato tutto bene. Domani sabato 13 Marzo sarà l’apertura. Qui in famiglia abbiamo fatto festa per l’allegria, fate anche voi lo stesso…”.     Per il “Cinema Dopolavoro di Veglie” (poi ribattezzato “Cinema Savoia”), sarà subito un successo di cui egli stesso è meravigliato. Scrive in un’altra lettera alla moglie: “inutile descriverti gli avvenimenti della prima sera. Cose da sbalordire.”. La sala, molto improvvisata, è sita in piazza Umberto I, in un locale che si rivelerà ben presto insufficiente a contenere la mole di persone che lo praticano. Lo gestisce insieme al fratello Salvatore, padre di Giovanni ed Antonio (ex bar cafè). L’operatore alla macchina è “mesciu Angiulinu” De Paolis, detto “Padovano”. All’epoca gestire una sala cinematografica non è proprio facilissimo come possiamo pensare. Per farla funzionare al meglio occorre tanto lavoro unito ad altrettanto spirito di sacrificio: i film non viaggiano attraverso le grandi vie di comunicazione virtuali a cui noi siamo abituati, non si scaricano in streaming attraverso internet, non si possono “prelevare” col mouse da Emule. Noleggiare le pellicole da proiettare è un’impresa dura e costante. Bisogna innanzitutto noleggiare un’autovettura, poi organizzare un gruppo di viaggio formato da persone che hanno la stessa esigenza di recarsi nel capoluogo pugliese con cui dividere le spese di viaggio. L’alternativa possibile è muoversi in littorina. E’ proprio durante uno di questi spostamenti di lavoro a Bari che Nino Caputo rimane coinvolto in un incidente ferroviario e perde la vita a pochi mesi dalla nascita della sua creatura.

Intanto, verso la fine degli anni ‘40, un proprietario terriero, tale Don Pierino Ferrara, costruisce ex novo, in Via Mameli, un edificio da adibire a sala cinematografica che chiama cinema Trieste (nome celebrativo in onore della liberazione di Trento e Trieste). Ferrara nomina direttore del cinema un tale di Specchia. Questi non ha la capacità di gestire il cinema al meglio, perciò in poco tempo accumula grossi debiti e Ferrara è battista albano bncostretto a cedere la proprietà ad una società costituita dai fratelli Battista (nella foto a destra) e Antonio Albano, nonché dal cognato di quest’ultimo, Cosimo Casavecchia. Totò Gustapane è il nuovo operatore al proiettore fino al ’54, dopo di che subentra Fernando De Finis. Tutto sembra andare per il verso giusto, Battista acquista anche un’ autovettura con cui si reca a noleggiare le pellicole, una Bianchina, che dopo qualche tempo cambia con una lussuosa e ben più comoda Fiat 1100, finché un dissesto finanziario non gli crea qualche problema con i soci. Inizia una battaglia legale che dura anni. Per questa controversia il cinema perde quota, fino a quando, all’alba di un funesto giorno del 1963, non si ritrova completamente distrutto da un “misterioso” incendio. Viene ricostruito negli anni Cinema Trieste 1963settanta, ma oramai il suo destino è segnato. Battista vende la sua quota e va a fare il bigliettaio presso il nuovo cinema Caputo.

Dall’altro fronte, invece, Salvatore Caputo, rimasto senza il fratello, deve fronteggiare la nuova sfida. Ma non solo. Il locale di piazza Umberto I, oltre ad essere poco capiente, è anche strutturalmente inidoneo. Mancano le misure minime di sicurezza previste per questo tipo di locale pubblico, che non possono essere integrate poiché è impossibile realizzare le uscite di sicurezza. Entra in scena lo spirito imprenditoriale di una famiglia benestante del paese, quella di Don Nino Polito e del suocero, tale Pasquale Dongiovanni, proprietari terrieri ed imprenditori del posto, (proprietari anche della cantina di Via Fratelli Bandiera), i quali vorrebbero realizzare una loro sala cinematografica nel paese ma sono impossibilitati a farsi rilasciare una terza licenza. Realizzano a proprie spese un edificio apposito, Caputo mette a disposizione la sua licenza, le macchine per la proiezione e l’esperienza. Nasce così il cinema che tutti sappiamo, il più importante della mia generazione e di quella di tanti altri concittadini. Valerio Patera, padre dei fratelli musicisti vegliesi che più o meno tutti conosciamo, è l’operatore del cineproiettore.  Ben presto, però, Polito e Dongiovanni si liberano del terzo socio scomodo, tolgono anche la scritta Caputo dalla facciata del cinema e lasciano quella che si intravede ancora oggi.

Questa breve raccolta di informazioni, sicuramente molto incompleta ed imprecisa, è stata realizzata grazie alla memoria delle persone con cui ho avuto il piacere di discutere sul tema e che ringrazio calorosamente. Un grazie particolare alla disponibilità ed alla partecipazione di Fernando De Finis, Mimino Albano, Pina Caputo e Giovanni Caputo, senza i quali sarebbe stato impossibile per me pensare di dare vita alla stesura di questo articolo.  Il mio auspicio è che le pagine di questo giornale possano riprendere ancora l’argomento e quanto scritto in questo numero sia solo l’input di un confronto ancora aperto sulla storia cinematografica vegliese.

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I cinema “Paradiso” a Veglie

di Giovanni Caputo

Tra il ’39 e il ’40 a Veglie c’erano stati diversi tentativi di proiezioni artigianali in locali privati, ma nessuno parlava di “Cinema” in quanto sala, il termine era usato come sinonimo di film.

iNAUGURAZIONE CINEMA cAPUTOLa prima sala cinematografica, inaugurata nel ’43, fu il “Cinema Savoia”, dopo qualche anno diverrà “Cinema Caputo”, ubicato nella piazza principale del paese, dedicata al re ammazzato da Gaetano Bresci. Venne adattato uno spazio ricettivo per carrozze e cavalli,  chiamato “La Locanda”. In questo spazio fu allestita una sala di circa 200 posti con una galleria in legno, sostenuta da due colonne, che conteneva una sessantina di poltroncine.  La sala era fornita di un palco, dove per tutti gli anni ’50  si alternarono, come non accadde mai dopo, compagnie dell’avanspettacolo che allestivano spettacoli di ambiente napoletano di prosa, musica, danza e scenette umoristiche ispirate all’attualità spicciola e ai tradizionali cliché erotico-sentimentali, uniti dalla presenza di personaggi fissi come la soubrette.

Questo tipo di teatro leggero ebbe il merito d’incontrare il favore del mondo contadino, tanto da fare il tutto esaurito ogni volta che veniva proposto.

Il successo della sala portò altri ad investire nel settore, pertanto nei primi anni cinquanta, a trecento metri di distanza, nacque il“Cinema Trieste”.

La concorrenza realizzò un vero e proprio cinema con una buona insonorizzazione e 350 comode sedie. Sono anni in cui viene offerta la visione di due film al costo di 30 lire a biglietto.

La vecchia “Locanda” appare ormai inadeguata e non riesce a soddisfare la domanda di cinema che cresce nel paese.

Siamo a fine anni ’50 e una stretta di mano sancisce la nascita di una società, sui generis per la composizione del rapporto finanziario a favore dei nuovi soci, che si accolleranno il peso economico della realizzazione del manufatto. Tuttavia ciò permetterà di trasferire il cinema di Piazza Umberto I°, in una nuova sede che avrà il nome di “Nuovo Cinema Caputo”.

Per mettere in risalto l’edificio, l’insediamento sorgerà su un’area destinata al proseguimento di via Luce, che stravolgerà la maglia urbana dell’intero comparto.

La sala è grande, contiene più di 600 posti e al suo interno, benché costruita su un unico piano,  è divisa da un recinto che separa una specie di platea da una parte di posti considerati distinti o quantomeno riservati. La copertura  a terrazza compromette seriamente l’acustica, compensata solo in parte dall’avvento del “Cinemascope”.

L’inaugurazione avverrà a settembre del ’59 con il film “La spada e la croce”, film storico, sulla morte di Gesù, nella Palestina occupata  dai romani e governata da Ponzio Pilato, per conto dell’Imperatore Tiberio, diretto da Carlo Ludovico Bragaglia.

Il biglietto costa 70 lire, ma il pubblico non se ne lascia intimidire e contribuisce attivamente al successo della nuova avventura commerciale.

Seguono gli anni dell’ottimismo, si spalmano sull’intera popolazione i risultati positivi della scolarizzazione di massa e dell’industrializzazione. Nei nostri territori, sono le rimesse degli immigrati che sopperiscono alla mancanza dell’industria. La nuova ricchezza provoca un’esplosione edilizia che modifica l’assetto urbanistico dell’intero territorio nazionale. Di quel tempo, le immagini del Cinema ne racconteranno le storie.

Da qualche anno a Novoli è stata realizzata una nuova sala, che accoglie settecento spettatori al prezzo di 150 lire a biglietto; molti, da poco automuniti, arrivano dai paesi vicini. Si tratta di giovani e d’intere famiglie che si spostano, il sabato e la domenica, in massa per assistere al “musicarello”, sottogenere cinematografico italiano, le cui caste storie d’amore si aggrovigliavano intorno all’interpretazione dei cantanti di fama: Little Tony, Gianni Morandi, Al Bano, Tony Renis, Rita Pavone, Adriano Celentano. Il riferimento costante alla moda e alla gioventù, anche in polemica nei confronti di un mondo contadino che si attarda a passare la mano e la rappresentazione della voglia di divertirsi e ballare senza pensieri per tutta la notte sulla spiaggia, sono i modelli ai quali, di lì a qualche anno, l’intera società si conformerà.

Contemporaneamente l’attenzione di questo pubblico si fa catturare dal fascino delle note di Ennio Moricone, che imprimono nell’immaginazione collettiva l’immortale figura di Clint Eastwood, diretto da Sergio Leone.

Al genere western seguirà il kung fu, film in cui gli scontri fra il protagonista ed i suoi nemici si svolgono con l’uso di tecniche ispirate da arti marziali. La frequenza si è sensibilmente abbassata e di conseguenza gli incassi sono diminuiti.

A chiudere un’epoca, a conclusione sia della funzione sociale che economica del cinema di paese, sarà l’arrivo della televisione commerciale da una parte e il genere erotico dall’altra, che allontanerà per sempre le famiglie dalle sale.

La corsa al cambio di destinazione urbanistica degli immobili, che divengono grandi magazzini o miniappartamenti, coinvolge l’intero paese. Alcuni cinema resistono trasformandosi in multi sale.  

Oggi la situazione dei cinema a Veglie è anche più tragica.  Il “Cinema Trieste”, dopo un tentativo di acquisizione fallito da parte dell’Amministrazione Comunale, avvenuto negli anni della gestione Greco, è adibito a locale da deposito e il “Cinema Caputo”, eternamente in vendita, è completamente cadente e abbandonato con grave danno per la sicurezza e l’igiene dell’intero quartiere.

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TOTO’ PACCIU, L’ULTIMA MASCHERA DEL CINEMA.

di Daniele (Danilo) INGROSSO

TOTO PACCIUSe Nino Caputo nel 1943 è la persona che apre il cinema a Veglie, Salvatore Rigliano, ribattezzato “Totò Pacciu” per il suo carattere esuberante ed estroverso, è invece la persona che, una trentina di anni fa, chiude per l’ultima volta la serranda di quella stessa sala cinematografica. L’arrivo della tv commerciale spazza via definitivamente i cinema di seconda visione di provincia, ma nonostante questo, grazie alla forza di volontà di Totò il cinema Caputo di Veglie rimane aperto ancora per diversi anni. Anzi, ne fa una piccola impresa familiare: la moglie è la cassiera, ed i figli danno una mano per tutto il resto. Inoltre, reinventa e riutilizza quel posto per farne un punto di riferimento della comunità vegliese di ogni manifestazione pubblica che abbia bisogno di una struttura coperta, e non più solo per la proiezione cinematografica (concerti, comizi elettorali, feste in maschera, ecc..). In seguito, considerato che i film di seconda visione vengono trasmessi in televisione prima che nel suo cinema, egli proietta film che non possono essere trasmessi in tv, e trasforma quel cinema in un cinematografo a luci rosse.

Il giorno che vado a trovarlo, mi accoglie con l’ospitalità che si riserva solo agli amici più intimi o che si rivedono dopo molto tempo. Mi riceve nel suo salotto, circondato da parenti di ogni età, segno che nella vita si è impegnato molto a farsi benvolere dai propri cari, ed è felice che io sia andato a rievocare  il suo passato di maschera di quel tanto importante, per noi vegliesi, cinema Caputo. Parlando con lui, ho la sensazione che quel nomignolo non gli sia stato dato con  la dovuta perizia, infatti è una miniera di notizie su avvenimenti riguardanti la sua attività, nonostante il tempo e l’età avrebbero potuto resettargli la memoria. Gli chiedo se ha da raccontarmi un po’ di ricordi, magari piacevoli, di quegli anni. Ne ha pronti giusto una marea.

Un giorno si reca a Bari per noleggiare delle pellicole insieme al proprietario del cinema, Don Nino Polito. Polito, oramai anziano, vuole tentare il colpaccio: noleggiare un film di prima visione per risollevare un po’ le sorti di quel cinema! Si rivolge a Totò, molto più giovane di lui, e indicandogli le locandine esposte sui muri gli chiede:

–  Giovanotto, secondo te, quale possiamo noleggiare? Scegli quello che per te è il migliore e non badare a spese!

A quel punto Totò, silenziosamente perplesso in quanto non ne capisce un niente di novità cinematografiche, ma fiero dell’incarico che gli è appena stato conferito, si guarda intorno e si fa convincere dall’accattivante locandina del film “Lo squalo” di Spielberg. Si rivolge al capo con aria decisa e gli indica col dito:

– Quello!

Don Nino esborsa una somma esorbitante per il noleggio di quel film mostruoso e brutto. Un disastro! Lo proiettano ininterrottamente per una settimana senza riuscire a recuperarne neanche le spese, alla fine incassano solo un terzo di quanto speso. Gli spettatori, che hanno pagato il prezzo del biglietto da prima visione, se ne escono dal cinema delusi e mortificati, persino arrabbiati. Una di quelle sere, tra urla e fischi di disprezzo, l’atmosfera in sala si è surriscaldata così tanto che Totò deve improvvisare qualcosa di urgente per raffreddare gli stati d’animo. Riempie un innaffiatoio d’acqua e, correndo su e giù per la sala, bagna le persone sedute alle poltrone e urla:  “quello è lo squalo….e questa è l’acqua del mare!”. 

Interazione allo stato puro, film in 4D diremmo oggi.

 

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