Cosa dire del fatto accaduto a Novoli, dove un uomo ha ucciso la moglie e poi si è suicidato, lasciando orfani due figli piccoli? No, la domanda giusta è: “cosa dice a me questo fatto?”
In questa sede non mi interessa entrare nei torti e nelle ragioni, lo hanno già fatto e continueranno a farlo altri.
Mi accosto a questa vicenda con tutta la pietà umana ed il rispetto per le persone coinvolte, alle quali mi permetto di essere vicino con la silenziosa speranza che il tempo possa misteriosamente offrire un respiro di pace e di bene alle loro esistenze.
Il titolo “Vincitori e vinti” è provocatoriamente sbagliato: non ci sono vincitori.
È una brutta storia dove tutti ne sono usciti sconfitti. Non solo i protagonisti di questa tragedia e tutte le persone coinvolte. Ma è una sconfitta per ciascuno di noi.
E sì, perché questa è una storia come purtroppo di questi tempi ne abbiamo viste tante. L’unica differenza è che questa volta ne siamo stati toccati da vicino. E quando i fatti ci toccano da vicino è come se ci picchiettassero più forte sulla spalla e ci chiedessero: “E adesso cosa rispondi?”
Tu che stai leggendo, cosa dici? Tu che sguardo hai sui tuoi figli, tu che sguardo hai sui tuoi amici, tu che sguardo hai sui tuoi affetti. Tu che sguardo hai su di te?
La questione è se questi fatti ci interrogano, ci dicono qualcosa, ci suggeriscono un cammino di conoscenza, oppure ci hanno soltanto risvegliato una curiosità pruriginosa di dettagli o, nel migliore dei casi, un pur giusto sdegno.
È vero, quando succedono tragedie del genere siamo tutti sconfitti, ma anche nel polverone della battaglia abbiamo bisogno di un punto per capire da quale parte andare.
Ecco il punto di svolta.
La poetessa Ada Negri diceva che su ogni istante grava il peso dell’eterno. Ogni istante è il punto dove noi decidiamo se affermare il nulla (lo sterile lamento del mondo nel quale viviamo) oppure proviamo a volgere lo sguardo verso qualcuno che indichi un punto da dove ripartire. E, passo dopo passo, accorgersi che la vita non è solo istintività, una difesa scomposta ai colpi che arrivano.
Sembra quasi una follia, ma questo vuol dire fare la storia. Forse adesso diventa più chiaro e possiamo vedere in una luce diversa il dolore e i sacrifici dei nostri genitori e nonni. Della guerra, della miseria, delle ingiustizie. Non si sono arresi e hanno continuato a vivere e costruire avendo nel cuore una speranza che per molti di noi è inconcepibile.
Sono stati i veri protagonisti della storia, quella non raccontata dai libri, ma che hanno costruito il mondo che abitiamo. Grazie ad un progetto carico di una speranza che loro avevano chiaro.
E si può andare avanti (con tutta la fatica a cui la vita chiama) solo se questa speranza la si vede oggi in atto in qualcuno.
Questa è la fatica e la nobiltà del vivere, questo è il lavoro che rende umano il viaggio della nostra esistenza: l’instancabile ricerca di persone che ci aiutino a fare esperienza (non chiacchere) che pure nei momenti più brutti e tristi della storia è possibile intercettare un filo di bene.
L’alternativa è il nulla: si naviga a vista cercando di scansare come meglio possiamo il Covid, la guerra, la siccità e tutto quello che la realtà ci mette davanti e che non capiamo.
O uno sguardo sempre alla ricerca, oppure la sconfitta quotidiana per ciascuno di noi.
Ne va della nostra vita.