ANTONIO GRECO: considerazioni sull’attuale situazione politica a Veglie

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Seguo con distacco le vicende ultime dell’amministrazione comunale di Veglie. Non senza però un minimo di doverosa riflessione critica.
Una fugace lettura al verbale della delibera n. 7 dell’ultimo consiglio comunale del 13 gennaio u.s. mi fa pensare che ci risiamo: una consigliera, eletta con la lista del sindaco Paladini e che con altri due della stessa maggioranza era passata all’opposizione dopo pochi mesi dalle elezioni del 2015, si è dimessa da consigliera; il vice-sindaco e l’assessore al bilancio (“non si presentano in Giunta e non sono venuti in Consiglio Comunale anche le scorse volte”) hanno rassegnato le dimissioni nelle mani del sindaco e non al protocollo. Il sindaco che per anni ha amministrato con 9 voti di maggioranza contro gli 8 della minoranza, in situazione di precarietà numerica, è costretto a fare “il temporeggiatore”, se vuole portare a termine il suo mandato.  Dopo una amministrazione che in questi ultimi cinque anni si è impantanata in una palude, che lascia alle sue spalle problemi incancreniti e che per molti è stata del tutto fallimentare, ci risiamo. E’ la quinta amministrazione su sei che dal 1993, prima volta che si è votato con l’attuale sistema maggioritario per la elezione diretta del sindaco, non arriva (o ci arriva con escamotage) a concludere il mandato elettorale dei cinque anni. Una legge, quella della elezione diretta del sindaco, che doveva servire a dare stabilità alla vita amministrativa, non solo non raggiunge questo obiettivo ma, ancor di più e peggio, ha trasformato la stabilità in stagno e in vuoto amministrativo.  La legge n. 81 del 1993 prevede che, normalmente, la legislatura si interrompa sia con le dimissioni o la sfiducia del sindaco sia con le dimissioni in blocco della maggioranza dei consiglieri. A partire dal 1993,  eccetto la prima amministrazione (1993-1997 – in cui lo scrivente, da sindaco, portò a compimento la legislatura, che allora aveva durata di quattro anni, e nelle elezioni successive fu rieletto con il 78,22 % dei voti), le altre amministrazioni hanno subito entrambi i casi: dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel 1999; dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel 2004; dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel maggio 2009; dimissioni del sindaco nel 2014. Per la legislazione iniziata nel 2015, ad oggi, il sindaco non ha più i numeri in consiglio comunale.  In quest’ultimo caso la situazione si è aggravata: il sindaco non ha avuto, finora, il coraggio politico delle dimissioni, pur avendo perso da tempo tre consiglieri della sua maggioranza e ora il vicesindaco e l’assessore al bilancio; la minoranza, pur essendo in nove, fortemente frantumata e senza unità politica, non ha firmato le dimissioni contestuali e non ha avuto la forza o il coraggio politico di far passare, alla luce del sole, una mozione di sfiducia. E così lo stagno continua e l’acqua si imputridisce sempre di più.

 

Veglie è ingovernabile?

La governabilità o meno di un paese sembra essere una questione che non interessa molto ai vegliesi. Ai più interessano i problemi concreti: capire perché il Convento dei Francescani, Casa Tramacere, il nuovo mercato coperto, la metà del vecchio comune, la macchia Lupomonaco, ecc. sono nelle medesime condizioni di cinque anni fa; perché il Piano Urbanistico Generale (PUG) è stato escluso dalle deleghe assessorili (cfr. le deleghe assessorili pubblicate sul sito del Comune); perché sulla qualità dei servizi sociali e culturali non si è avuto il coraggio di sentire i cittadini; perché sul servizio di pubblica illuminazione sembra che l’amministrazione sia stata impotente; perché la richiesta di partecipazione dei cittadini per un coinvolgimento nella gestione dei beni comuni è stata malvista o mal sopportata; perché il caos del traffico…, perché…, perché… Non è mia intenzione, in questa sede, fare una valutazione, da semplice cittadino, dell’amministrazione Paladini. Ne parliamo un’altra volta. Credo sia utile dare una risposta all’interrogativo: Veglie è ingovernabile? E perché? E’ colpa della classe politica “lazzarona” e impreparata o questa è lo specchio dei cittadini che la sceglie?

I vegliesi sono migliori dei propri politici?

Per esperienza posso dire che chi (non solo a Veglie ma al Sud) si accosti con spirito di servizio alla politica scoprirà immediatamente che è difficilissimo ottenere consenso elettorale rilevante e consistente (la democrazia è anche questo: consenso elettorale rilevante e consistente) se si propongono in astratto politiche e idee per lo sviluppo economico, civile, culturale e legislativo. Nel 1993, per la mia esperienza pregressa ero estraneo al passato amministrativo del paese.  Con autonomia, nella mia prima campagna elettorale come candidato sindaco, apparivo (così mi dicevano) teorico, anche se con “un’idea di ente locale ideale e astratto”. Fui eletto a sindaco, quasi per caso (57 voti in più della seconda lista). La nuova legge elettorale e la divisione del partito della Democrazia Cristiana, consentirono di eleggere un sindaco “sognatore”, una eccezione. Ma già nella formazione della lista del 1997 mi dovetti arrendere al fatto che il consenso elettorale a Veglie (ma direi in tutto il Sud) è quasi sempre frutto di un percorso “scientifico” basato su relazioni corte, aiuti diretti, interventi ad personam, filiere e vicinanze varie. Se si guarda a come si formano le liste prima delle votazioni ci si rende conto che la composizione è fatta con il criterio di individuare i “signori delle tessere”, i “pacchetti di voti”, i “capibastone”, “la appartenenza a una famiglia lunga”. L’imperativo è uno solo: vincere! Si chiama clientelismo: male antico che, purtroppo, è facile diagnosticare ma difficile curare (almeno nell’immediato). Mi capita di sentire vegliesi arrabbiati, giustamente, perché hanno un altissimo senso civico, purtroppo frustrato da politici inetti, e vegliesi arrabbiati perché non hanno ottenuto niente dalla politica; vegliesi “indifferenti” alla politica (“tutti i politici sono ladri e pensano solo ai propri interessi personali”) e vegliesi “interessati”, cioè coloro che si approcciano alla politica (portando voti, mobilitando famiglie, portando gente ai congressi, facendo telefonate, ecc.) solo perché convinti o speranzosi di ottenere qualche favore per sé o per i propri cari.   In un simile contesto sociale, la cui lettura nasce da una esperienza personale e limitata (e ripeto, non è solo vegliese), non è facile fare politica e ottenere consenso elettorale per coloro che vorrebbero amministrare in modo efficiente, con impegno verso tutti e non solo per gli amici, senza promesse, senza “favori” paternalistici, raccomandazioni più o meno efficaci, ricatti sottili, ecc.. Non dico che non ci sia una percentuale di voto libero e frutto di scelte mature, autonome e democratiche, ma è una percentuale troppo esigua per incidere efficacemente sul quadro democratico complessivo. Se a questo aggiungiamo che a causa della povertà della vita culturale paesana, l’unica possibilità di protagonismo per molti professionisti medici, commercialisti, tecnici e semplici cittadini sembra essere l’attività politica, non ci si meraviglia se incredibili sono le ambizioni, i narcisismi e gli interessi personali, poiché la politica diventa l’unica possibilità di “riuscita” in un deserto di inedia, attendismo e sfiducia. Non è un caso che tutti vogliano fare il sindaco, senza valutare, a volte, le proprie capacità e competenze, perché dà prestigio, visibilità e potere.

Il sistema elettorale attuale è precocemente invecchiato e non più adatto a Veglie Premetto che la forma di governo di un comune e la sua riuscita dipendono da più fattori e non solo dalla legge elettorale con cui vengono eletti i suoi rappresentanti (le legge in fondo è “solo” un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi). Ma è innegabile che il sistema maggioritario senza doppio turno, la svalutazione del consiglio comunale e la elezione diretta del sindaco, con la accentuazione della “illusione decisionista” come soluzione dei problemi, aggravano e accentuano i gravi limiti della situazione socio-elettorale del nostro territorio. Pur di vincere si formano liste con persone “dell’ultima notte” prima della presentazione, senza un percorso adeguato di riflessione su contenuti omogenei, sulle modalità per affrontare i problemi, su conoscenze reciproche e un minimo di preparazione tecnica. Subito dopo le votazioni, per chi ha vinto, iniziano i problemi insolubili. Inoltre, da una analisi rigorosa della legge 81/93 emergono aspetti strutturali molto problematici che non sono attribuibili ad una cattiva attuazione di essa. Il più importante è che ha contratto e distrutto la democrazia e la partecipazione.  Dopo sei legislature emerge un dato certo: qualsiasi sistema di governo “decisionista”, che si affida al “sindaco forte” con un enorme potere (senza di lui non si deve muovere foglia ma, quando fallisce, trova la scusa che il potere è poco e ne vorrebbe sempre di più), anche se appare più efficiente e stabile, limita la rappresentanza e si isola sempre di più dai governati. Senza più partiti, con la distruzione di quasi tutti i corpi intermedi, il sindaco e i consiglieri di maggioranza chi rappresentano? A Veglie, legittimamente, 9 soggetti (da ultimo 7) hanno amministrato, per quasi 5 anni, un paese di più di 14 mila abitanti, con 12.385 mila aventi diritto al voto, 8.833 votanti, 3.532 voti per la maggioranza, (la doppia preferenza non consente di conoscere il peso reale rappresentato dai cinque consiglieri che dagli 11 della maggioranza sono passati all’opposizione). Questo nodo cruciale della rappresentanza e della partecipazione, come qualcuno sostiene, non può essere superato da qualche aggiustamento, magari operato attraverso lo strumento delle elezioni primarie. Infine, per la mancanza di pochi abitanti, Veglie è tra i comuni fino a 15.000 abitanti che sono costretti a non poter utilizzare della stessa Legge 81/93 il doppio turno. Come è stato per l’introduzione della doppia preferenza, con una semplice leggina si potrebbe tornare, come era prima del 1993, a limitare il sistema maggioritario solo ai comuni fino a 5 mila abitanti e prescrivere il doppio turno per gli altri comuni. Sarebbe solo un aggiustamento che non risolve il problema dei “signori delle tessere” e del voto clientelare, ma facilita, soprattutto per i giovani impegnati, percorsi amministrativi più omogenei e meno traumatici.

Che fare? La riflessione sui miei anni di vita amministrativa mi porta a essere molto pessimista sul prossimo futuro dell’ente locale e molto più fiducioso per il medio e lungo termine. Così com’è strutturato, l’ente locale ha fatto il suo tempo e sarà fagocitato dai tanti problemi che lo soffocano e lo rendono poco utile e a volte dannoso. Sono convinto però che nel futuro delle istituzioni, nel contesto della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, il comune-ente locale e la città saranno fondamentali più delle regioni. Occorrono rigore, studio e un po’ di utopia per pensare e formulare proposte nuove per “un comune nuovo” (etimologicamente “cum munis” = compito, peso, servizio da svolgere insieme, obbligato a partecipare). Occorre avviare percorsi lunghi di servizio, di presa di coscienza, su temi nuovi, quali la nuova economia e l’ambiente, emigrazione e immigrazione, invecchiamento della popolazione, il lavoro e i servizi sociali, la architettura istituzionale e i nuovi fenomeni sociali. Occorre avviare esperienze dal basso che sono già in atto in alcune parti d’Italia. Occorrono vegliesi, anche i tanti sparsi nel mondo, in particolare giovani e donne, che avviino questi percorsi. Ma non in un anno o in pochi mesi prima delle elezioni. A qualcuno questa mia visione appare teorica e astratta. Anzi sono accusato, con questa impostazione, di lasciare spazio ai “signori di sempre, sempre gli stessi”, perché questa visione non scompone ora i giochi di chi si appresta ad amministrare per i prossimi cinque anni.

So, per esperienza e fallimenti toccati da vicino, che aprire processi nuovi è difficile. Ma non condivido il giudizio generalizzato di chi pensa che i vegliesi siano tutti indifferenti o tutti pronti a considerare l’ente locale una istituzione a cui chiedere favori blandendola e “leccandola” in periodo elettorale per poi saccheggiarla o sputarle addosso. Una comunità di 14 mila abitanti non può non avere anticorpi per uscire da questa situazione. Aiutiamoli ad essere protagonisti.

 

Veglie 23 gennaio 2020

Antonio Greco 

CI RISIAMO! 
 
Seguo con distacco le vicende ultime dell’amministrazione comunale di Veglie. Non senza però un minimo di doverosa riflessione critica. Una fugace lettura al verbale della delibera n. 7 dell’ultimo consiglio comunale del 13 gennaio u.s. mi fa pensare che ci risiamo: una consigliera, eletta con la lista del sindaco Paladini e che con altri due della stessa maggioranza era passata all’opposizione dopo pochi mesi dalle elezioni del 2015, si è dimessa da consigliera; il vice-sindaco e l’assessore al bilancio (“non si presentano in Giunta e non sono venuti in Consiglio Comunale anche le scorse volte”) hanno rassegnato le dimissioni nelle mani del sindaco e non al protocollo. Il sindaco che per anni ha amministrato con 9 voti di maggioranza contro gli 8 della minoranza, in situazione di precarietà numerica, è costretto a fare “il temporeggiatore”, se vuole portare a termine il suo mandato.  Dopo una amministrazione che in questi ultimi cinque anni si è impantanata in una palude, che lascia alle sue spalle problemi incancreniti e che per molti è stata del tutto fallimentare, ci risiamo. E’ la quinta amministrazione su sei che dal 1993, prima volta che si è votato con l’attuale sistema maggioritario per la elezione diretta del sindaco, non arriva (o ci arriva con escamotage) a concludere il mandato elettorale dei cinque anni. Una legge, quella della elezione diretta del sindaco, che doveva servire a dare stabilità alla vita amministrativa, non solo non raggiunge questo obiettivo ma, ancor di più e peggio, ha trasformato la stabilità in stagno e in vuoto amministrativo.  La legge n. 81 del 1993 prevede che, normalmente, la legislatura si interrompa sia con le dimissioni o la sfiducia del sindaco sia con le dimissioni in blocco della maggioranza dei consiglieri. A partire dal 1993,  eccetto la prima amministrazione (1993-1997 – in cui lo scrivente, da sindaco, portò a compimento la legislatura, che allora aveva durata di quattro anni, e nelle elezioni successive fu rieletto con il 78,22 % dei voti), le altre amministrazioni hanno subito entrambi i casi: dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel 1999; dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel 2004; dimissioni contestuali della metà più uno consiglieri nel maggio 2009; dimissioni del sindaco nel 2014. Per la legislazione iniziata nel 2015, ad oggi, il sindaco non ha più i numeri in consiglio comunale.  In quest’ultimo caso la situazione si è aggravata: il sindaco non ha avuto, finora, il coraggio politico delle dimissioni, pur avendo perso da tempo tre consiglieri della sua maggioranza e ora il vicesindaco e l’assessore al bilancio; la minoranza, pur essendo in nove, fortemente frantumata e senza unità politica, non ha firmato le dimissioni contestuali e non ha avuto la forza o il coraggio politico di far passare, alla luce del sole, una mozione di sfiducia. E così lo stagno continua e l’acqua si imputridisce sempre di più. 
 
Veglie è ingovernabile? 
 
La governabilità o meno di un paese sembra essere una questione che non interessa molto ai vegliesi. Ai più interessano i problemi concreti: capire perché il Convento dei Francescani, Casa Tramacere, il nuovo mercato coperto, la metà del vecchio comune, la macchia Lupomonaco, ecc. sono nelle medesime condizioni di cinque anni fa; perché il Piano Urbanistico Generale (PUG) è stato escluso dalle deleghe assessorili (cfr. le deleghe assessorili pubblicate sul sito del Comune); perché sulla qualità dei servizi sociali e culturali non si è avuto il coraggio di sentire i cittadini; perché sul servizio di pubblica illuminazione sembra che l’amministrazione sia stata impotente; perché la richiesta di partecipazione dei cittadini per un coinvolgimento nella gestione dei beni comuni è stata malvista o mal sopportata; perché il caos del traffico…, perché…, perché… Non è mia intenzione, in 
questa sede, fare una valutazione, da semplice cittadino, dell’amministrazione Paladini. Ne parliamo un’altra volta. Credo sia utile dare una risposta all’interrogativo: Veglie è ingovernabile? E perché? E’ colpa della classe politica “lazzarona” e impreparata o questa è lo specchio dei cittadini che la sceglie? 
 
I vegliesi sono migliori dei propri politici? 
 
Per esperienza posso dire che chi (non solo a Veglie ma al Sud) si accosti con spirito di servizio alla politica scoprirà immediatamente che è difficilissimo ottenere consenso elettorale rilevante e consistente (la democrazia è anche questo: consenso elettorale rilevante e consistente) se si propongono in astratto politiche e idee per lo sviluppo economico, civile, culturale e legislativo. Nel 1993, per la mia esperienza pregressa ero estraneo al passato amministrativo del paese.  Con autonomia, nella mia prima campagna elettorale come candidato sindaco, apparivo (così mi dicevano) teorico, anche se con “un’idea di ente locale ideale e astratto”. Fui eletto a sindaco, quasi per caso (57 voti in più della seconda lista). La nuova legge elettorale e la divisione del partito della Democrazia Cristiana, consentirono di eleggere un sindaco “sognatore”, una eccezione. Ma già nella formazione della lista del 1997 mi dovetti arrendere al fatto che il consenso elettorale a Veglie (ma direi in tutto il Sud) è quasi sempre frutto di un percorso “scientifico” basato su relazioni corte, aiuti diretti, interventi ad personam, filiere e vicinanze varie. Se si guarda a come si formano le liste prima delle votazioni ci si rende conto che la composizione è fatta con il criterio di individuare i “signori delle tessere”, i “pacchetti di voti”, i “capibastone”, “la appartenenza a una famiglia lunga”. L’imperativo è uno solo: vincere! Si chiama clientelismo: male antico che, purtroppo, è facile diagnosticare ma difficile curare (almeno nell’immediato). Mi capita di sentire vegliesi arrabbiati, giustamente, perché hanno un altissimo senso civico, purtroppo frustrato da politici inetti, e vegliesi arrabbiati perché non hanno ottenuto niente dalla politica; vegliesi “indifferenti” alla politica (“tutti i politici sono ladri e pensano solo ai propri interessi personali”) e vegliesi “interessati”, cioè coloro che si approcciano alla politica (portando voti, mobilitando famiglie, portando gente ai congressi, facendo telefonate, ecc.) solo perché convinti o speranzosi di ottenere qualche favore per sé o per i propri cari.   In un simile contesto sociale, la cui lettura nasce da una esperienza personale e limitata (e ripeto, non è solo vegliese), non è facile fare politica e ottenere consenso elettorale per coloro che vorrebbero amministrare in modo efficiente, con impegno verso tutti e non solo per gli amici, senza promesse, senza “favori” paternalistici, raccomandazioni più o meno efficaci, ricatti sottili, ecc.. Non dico che non ci sia una percentuale di voto libero e frutto di scelte mature, autonome e democratiche, ma è una percentuale troppo esigua per incidere efficacemente sul quadro democratico complessivo. Se a questo aggiungiamo che a causa della povertà della vita culturale paesana, l’unica possibilità di protagonismo per molti professionisti medici, commercialisti, tecnici e semplici cittadini sembra essere l’attività politica, non ci si meraviglia se incredibili sono le ambizioni, i narcisismi e gli interessi personali, poiché la politica diventa l’unica possibilità di “riuscita” in un deserto di inedia, attendismo e sfiducia. Non è un caso che tutti vogliano fare il sindaco, senza valutare, a volte, le proprie capacità e competenze, perché dà prestigio, visibilità e potere. 
 
Il sistema elettorale attuale è precocemente invecchiato e non più adatto a Veglie Premetto che la forma di governo di un comune e la sua riuscita dipendono da più fattori e non solo dalla legge elettorale con cui vengono eletti i suoi rappresentanti (le legge in fondo è “solo” un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi). Ma è innegabile che il sistema maggioritario senza doppio turno, la svalutazione del consiglio comunale e la elezione diretta del sindaco, con la 
accentuazione della “illusione decisionista” come soluzione dei problemi, aggravano e accentuano i gravi limiti della situazione socio-elettorale del nostro territorio. Pur di vincere si formano liste con persone “dell’ultima notte” prima della presentazione, senza un percorso adeguato di riflessione su contenuti omogenei, sulle modalità per affrontare i problemi, su conoscenze reciproche e un minimo di preparazione tecnica. Subito dopo le votazioni, per chi ha vinto, iniziano i problemi insolubili. Inoltre, da una analisi rigorosa della legge 81/93 emergono aspetti strutturali molto problematici che non sono attribuibili ad una cattiva attuazione di essa. Il più importante è che ha contratto e distrutto la democrazia e la partecipazione.  Dopo sei legislature emerge un dato certo: qualsiasi sistema di governo “decisionista”, che si affida al “sindaco forte” con un enorme potere (senza di lui non si deve muovere foglia ma, quando fallisce, trova la scusa che il potere è poco e ne vorrebbe sempre di più), anche se appare più efficiente e stabile, limita la rappresentanza e si isola sempre di più dai governati. Senza più partiti, con la distruzione di quasi tutti i corpi intermedi, il sindaco e i consiglieri di maggioranza chi rappresentano? A Veglie, legittimamente, 9 soggetti (da ultimo 7) hanno amministrato, per quasi 5 anni, un paese di più di 14 mila abitanti, con 12.385 mila aventi diritto al voto, 8.833 votanti, 3.532 voti per la maggioranza, (la doppia preferenza non consente di conoscere il peso reale rappresentato dai cinque consiglieri che dagli 11 della maggioranza sono passati all’opposizione). Questo nodo cruciale della rappresentanza e della partecipazione, come qualcuno sostiene, non può essere superato da qualche aggiustamento, magari operato attraverso lo strumento delle elezioni primarie. Infine, per la mancanza di pochi abitanti, Veglie è tra i comuni fino a 15.000 abitanti che sono costretti a non poter utilizzare della stessa Legge 81/93 il doppio turno. Come è stato per l’introduzione della doppia preferenza, con una semplice leggina si potrebbe tornare, come era prima del 1993, a limitare il sistema maggioritario solo ai comuni fino a 5 mila abitanti e prescrivere il doppio turno per gli altri comuni. Sarebbe solo un aggiustamento che non risolve il problema dei “signori delle tessere” e del voto clientelare, ma facilita, soprattutto per i giovani impegnati, percorsi amministrativi più omogenei e meno traumatici. 
 
Che fare? La riflessione sui miei anni di vita amministrativa mi porta a essere molto pessimista sul prossimo futuro dell’ente locale e molto più fiducioso per il medio e lungo termine. Così com’è strutturato, l’ente locale ha fatto il suo tempo e sarà fagocitato dai tanti problemi che lo soffocano e lo rendono poco utile e a volte dannoso. Sono convinto però che nel futuro delle istituzioni, nel contesto della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, il comune-ente locale e la città saranno fondamentali più delle regioni. Occorrono rigore, studio e un po’ di utopia per pensare e formulare proposte nuove per “un comune nuovo” (etimologicamente “cum munis” = compito, peso, servizio da svolgere insieme, obbligato a partecipare). Occorre avviare percorsi lunghi di servizio, di presa di coscienza, su temi nuovi, quali la nuova economia e l’ambiente, emigrazione e immigrazione, invecchiamento della popolazione, il lavoro e i servizi sociali, la architettura istituzionale e i nuovi fenomeni sociali. Occorre avviare esperienze dal basso che sono già in atto in alcune parti d’Italia. Occorrono vegliesi, anche i tanti sparsi nel mondo, in particolare giovani e donne, che avviino questi percorsi. Ma non in un anno o in pochi mesi prima delle elezioni. A qualcuno questa mia visione appare teorica e astratta. Anzi sono accusato, con questa impostazione, di lasciare spazio ai “signori di sempre, sempre gli stessi”, perché questa visione non scompone ora i giochi di chi si appresta ad amministrare per i prossimi cinque anni. 
So, per esperienza e fallimenti toccati da vicino, che aprire processi nuovi è difficile. Ma non condivido il giudizio generalizzato di chi pensa che i vegliesi siano tutti indifferenti o tutti pronti a considerare l’ente locale una istituzione a cui chiedere favori blandendola e “leccandola” in periodo elettorale per poi saccheggiarla o sputarle addosso. Una comunità di 14 mila abitanti non può non avere anticorpi per uscire da questa situazione. Aiutiamoli ad essere protagonisti. 
 
Veglie 23 gennaio 2020 
Antonio Greco 
 
 

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